Ti stai avvicinando all’affascinante mondo dei distillati, ma hai difficoltà a riconoscere e distinguere le varie tipologie di gin disponibili sul mercato? Sei in buona compagnia: non tutti sono al corrente delle attuali regolamentazioni in materia, per cui è facile andare in confusione.
Ambiguità e incertezze non risparmiano nemmeno gli addetti ai lavori, per lo meno su alcuni punti. Basti pensare alle diciture improprie presenti nelle etichette, a partire dall’attribuzione del termine “gin” in preparati da classificare come bevande spiritose al gusto di ginepro.
D’altro canto, l’istituzione di un Disciplinare risale solo al 2008, con modifiche apportate nel 2019 su alcune parti del testo originario. Prendendo come punto di partenza questa fonte, ti aiuteremo a mettere in ordine le idee sullo spirit più trend del momento.
Focalizzeremo, inoltre, le differenze tra varietà, oltre a darti qualche consiglio per gustarlo e servirlo nel migliore dei modi. Fare acquisti consapevoli, infatti, è possibile soltanto grazie a informazioni precise e attendibili, meglio se attinte a documenti scritti.
La regolamentazione di riferimento per il nostro continente è il Disciplinare Europeo 787 del 2019. Si tratta di un’evoluzione della normativa sulla produzione delle bevande alcoliche, elaborato in prima battuta nel 2008. La versione attuale è il risultato di una mediazione tra mondo anglo-sassone e resto dell’Europa.
Tuttavia, la classificazione non sarebbe completa se ci limitassimo alle codifiche riportate dalle fonti ufficiali. Pertanto prenderemo in esame anche categorie e stili non inclusi nelle disposizioni di legge, ma non per questo meno importanti.
Il Regolamento Europeo prevede una distinzione dei gin in base ai metodi di produzione e all’utilizzo degli ingredienti. Ecco le diciture a cui fa riferimento il Disciplinare:
Alla presente lista dobbiamo aggiungere le bevande spiritose a base di ginepro, nettamente diverse da quelle appena elencate. Abbiamo deciso di menzionarle per una ragione molto semplice: alcuni produttori le immettono sul mercato come gin. Per riconoscerle devi leggere le etichette e affidarti alla degustazione.
In questa categoria rientrano tutti quei distillati non classificabili in base alle disposizioni del Regolamento Europeo, ma pur sempre di una certa risonanza. Vogliamo attirare la tua attenzione, in particolare, sulle varietà:
Alcune di queste tipologie vantano una lunga storia e grandi tradizioni alle spalle, mentre altre sono di concezione più recente. Ad ogni modo, tutte devono rispettare gli standard qualitativi previsti per i superalcolici.
Come già anticipato, potrebbero capitarti tra le mani dei preparati commercializzati come gin, pur non essendolo affatto. Prima di passare ai tratti distintivi dei vari spirits, quindi, è importante che tu comprenda fino in fondo cosa si intende per bevande spiritose al gusto di ginepro.
In queste ultime, l’aroma delle bacche non viene percepito per primo e non prevale sugli altri. A differenza dei gin propriamente detti, inoltre, possono contenere quantitativi variabili di Juniperus Oxycedrus (dai frutti rossastri anziché blu-violacei), oltre a quella comune.
Anche il tenore di alcool cambia. In una bibita del genere la soglia minima si attesta intorno al 30% in volume. Ben 7,5 punti percentuali in meno rispetto agli standard richiesti per i superalcolici. Quanto agli additivi, può contenere sostanze di sintesi, derivate quasi sempre dal petrolio se la dicitura “aromi” non è accompagnata da altri termini.
Il gin propriamente detto, invece, è facilmente riconoscibile dal marcato sapore (e bouquet) di Juniperus Communis, in netta predominanza su tutti gli altri botanicals. Mediamente ha un titolo alcolometrico del 40% in volume, ma può arrivare fino al 70% nelle varietà più forti.
Altra prerogativa che lo distingue dagli spirits a base di ginepro è la possibilità di allungarlo con una mistura di alcool neutro e acqua distillata. Si tratta di una procedura permessa proprio dal Disciplinare per il London Dry, adottata soprattutto in ambito industriale per distillati di partenza molto concentrati.
Dopo aver fatto chiarezza sui tratti salienti del distiller, cerchiamo di capire in cosa si distinguono i vari stili di gin. Ci focalizzeremo sulle caratteristiche di ciascuno, partendo da quelli definiti nel Disciplinare, per arrivare alle categorie non incluse nei regolamenti.
Iniziamo dal London Dry, uno dei prodotti più amati da bartender e mixologist. Il nome non è riferito a un’indicazione geografica ma a una modalità di produzione. La base è alcool al 96% in volume, con tenore di metanolo 10 volte inferiore rispetto a quello utilizzato per altri superalcolici.
Dopo la distillazione non vengono aggiunte altre specie botaniche: da quel momento in poi si possono unire solo ingredienti che non diano sapore. Inoltre non devono modificare la fragranza o il colore della bevanda.
La raccolta viene effettuata fino a quando il tenore alcolometrico non va al di sotto del 70%. Si tratta dello spirit più puro della categoria: all’assaggio rimane asciutto al palato, trasparente alla vista e intenso all’olfatto.
Il Compound Gin o, più brevemente, Gin, ammette l’aggiunta di altre spezie ed erbe a freddo, dopo la macerazione del ginepro. A differenza del London Dry, quindi, viene fatta almeno un’altra infusione, nella quale la stessa soluzione alcolica può contenere più botanicals.
Altre particolarità di questo preparato sono la presenza di più basi alcoliche opportunamente assemblate tra loro e l’uso di alambicchi discontinui. Pertanto, la bevanda può apparire leggermente torbida, presentare depositi e assumere una colorazione in base alle aromatiche utilizzate nella ricetta.
Ma ecco una piccola curiosità: ai tempi del proibizionismo alcolico (1920-1933), la varietà Compound era conosciuta come Bathtub Gin, ossia gin da vasca da bagno. Questo perché l’infusione nel mosto di grano era fatta in contenitori capienti, senza uso di distillatori. Le bottiglie, poi, venivano avvolte nella carta, per nasconderne il contenuto.
Adesso passiamo al Distilled Gin. La prima fase del ciclo produttivo corrisponde a quella del London Dry, sempre partendo da una base alcoolica al 96% in volume. Ma dopo il passaggio nell’alambicco nulla vieta di mettere in infusione frutta, verdura, fiori, coloranti e altre aromatiche.
A tale scopo si preparano più soluzioni alcoliche mettendo in infusione i botanicals separatamente. Ogni sostanza, infatti, ha i propri tempi per rilasciare tutti gli oli essenziali. Dopodiché il mastro distillatore assembla i blend e, a prova riuscita, elabora una ricetta ripetibile.
Confrontato con il Compound Gin è più costoso, per via delle lavorazioni previste. Tuttavia ha un livello di purezza superiore e ben si adatta ai palati più raffinati. Una bevanda adatta a degustatori esperti o, comunque, non principianti, che non amano l’impatto aggressivo dello spirit secco.
Adesso passiamo alle varietà non descritte nel Disciplinare, partendo dall’Old Tom. Molto apprezzato in epoca vittoriana, puoi riconoscerlo per morbidezza e dolcezza rispetto ad altri tipi di gin. A conferirgli tratti del genere contribuiscono sia la presenza di aromatiche come semi di finocchio e liquirizia, sia l’aggiunta di zucchero fino al 4%.
Quando la gradazione alcolica raggiunge il 57% in volume, allora sei di fronte a un Navy Strenght. Ma perché proprio questa percentuale? Il motivo è presto detto: a partire da tale concentrazione diventa infiammabile, nel caso in cui venga mescolato con polvere da sparo e posto a contatto con il fuoco. Una tecnica adottata dagli ufficiali della Marina Britannica nel 1700, per verificare che il preparato non fosse annacquato.
Il Gin di Plymouth, invece, possedeva una denominazione IGT, in quanto proveniente dall’omonima cittadina del Devon (Inghilterra meridionale). La produzione è simile a quella del London Dry Gin, ma ha un gusto meno astringente. All’assaggio puoi notare un piacevole aroma di scorze di agrumi e cardamomo, che ben si armonizzano con il ginepro.
Più vicino a un liquore è lo Sloe Gin, digestivo color porpora e fine pasto britannico per eccellenza. La base è sempre un London Dry, nel quale si aggiunge zucchero e vengono fatte macerare delle prugne selvatiche. Il tutto in quantità e durata di infusione variabili, a seconda della ricetta di famiglia.
Ma veniamo a un prodotto affinato, come il British London Dry. Il gusto più rotondo e meno aggressivo è dovuto alla permanenza del gin in botti di legno. L’invecchiamento può durare da un mese e mezzo fino a un anno.
Il Gin Traditional Style è, probabilmente, il più somigliante ai prototipi della Scuola Medica Salernitana. L’intensità del bouquet e l’alta percentuale di oli essenziali derivano dalla lavorazione in alambicchi a caldo. Le ricette base non prevedono aggiunta di altre botanicals.

La risposta è sì, pur non rientrando nelle linee guida ufficiali. Alcuni Paesi, infatti, hanno una o più risorse agroalimentari da valorizzare. Di seguito troverai un breve elenco con le relative corrispondenze, a titolo di esempio:
Com’è intuibile, la lista appena riportata non è esaustiva: può variare in base alle sperimentazioni delle singole distillerie e dei trend del momento.
Parti sempre da una lettura attenta dell’etichetta: se la lista ti sembra troppo lunga o noti la presenza di ingredienti che non ti convincono, non procedere subito con l’acquisto. Piuttosto, cerca informazioni tramite l’assistenza clienti o altri canali di comunicazione ufficiali.
Attenzione anche al packaging: se a una bottiglia da collezionista o in limited edition corrisponde un prezzo medio-basso, probabilmente l’azienda non sta puntando sulla qualità del distillato. O, almeno, non ne fa un valore prioritario.
E veniamo alla scelta vera e propria. Sarebbe preferibile accompagnarla da una degustazione, ma il più delle volte non è possibile. Dovrai fare affidamento sull’analisi visiva del prodotto, sulle tue conoscenze riguardo l’utilizzo e, ovviamente, sulle tue preferenze.
Il London Dry, per esempio, è il jolly da avere sempre in casa per la preparazione dei cocktail. Prediligi gli spirits non sottoposti a diluizione, che valorizzino tutta la loro componente aromatica: sanno meno di alcool e hanno un bouquet più ricco.
Come il Distilled Gin si presta al consumo come bevanda da meditazione, tassativamente liscia e a temperatura ambiente per apprezzarne la fragranza. Con una differenza: uno è perfetto per chi cerca l’intensità nei sapori e nei profumi, l’altro per chi ama la varietà.
Anche il Compound offre esperienze di degustazione soddisfacenti, pur avendo un buon rapporto qualità-prezzo. I suoi punti di forza sono la ricchezza delle note olfattive e la morbidezza, tratti molto apprezzati dal pubblico femminile.
Quanto ai distillati non presenti nel Disciplinare, lo Sloe Gin e il Plymouth sono perfetti se non sai fare a meno del bicchierino a fine pasto. L’Old Tom, invece, è un ingrediente indispensabile per alcuni long drink che non ammettono sostituti.
Se non sai fare a meno delle tinte forti prova il Navy Strenght, mentre il Traditional Style è una chicca da intenditori. Ami i distiller affinati? Non puoi perdere le proposte più invitanti sul genere British London Dry.
Le varietà più pure e intense (Distilled, London Dry, Navy Strenght, Traditional Style e British London Style) danno il meglio di sé consumate lisce e a temperatura ambiente. Lo stesso dicasi per i Compound. Utilizza bicchieri come il balloon e il tumbler basso, per metterne in risalto l’aroma.
Quanto alla realizzazione dei long drink il primato spetta al London Dry. Fanno eccezione il Tom Collins e il John Collins, per i quali ti consigliamo l’acquisto dell’Old Tom. Plymouth e Sloe Gin, invece, saranno l’accompagnamento perfetto per tutti i dessert, dai lievitati alla pasticceria secca.
Impossibile dire quale sia il migliore in assoluto: le varietà di gin sono tantissime. Alcune si prestano a certe modalità di degustazione più di altre, pertanto la scelta dipende da come vuoi utilizzarlo.
Ma il fattore che dovrai mettere sempre al primo posto è la qualità. Un prodotto di alto valore avrà una confezione integra, ben sigillata, con un’etichetta comprensibile, nella quale dovranno figurare diciture appropriate, informazioni complete e prive di ogni ambiguità.
L’assaggio dovrà confermare le buone premesse (e promesse) della presentazione. Odore di alcool troppo intenso o note eccessivamente zuccherine non sono indice di un buon distillato, indipendentemente dalla tipologia.
Naturalmente, le preferenze rivestono un certo peso nelle decisioni. Questo vale non solo nel caso in cui volessi fare un regalo a qualcuno, ma anche quando lo spirit debba occupare l’angolo bar di casa tua.
La valutazione globale, quindi, terrà conto di tutti i fattori descritti. Insieme alla conoscenza degli attuali trend, del Disciplinare e delle classificazioni non ufficiali saranno un ottimo supporto per i tuoi prossimi acquisti e assecondare la tua voglia di gin.
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